La nostra filosofia
Immaginate una sera di luce soffusa. La linea ondulata delle colline ricoperte di vigneti si disegna, nera, sulla tela di un cielo rosa e arancio. Dopo una passeggiata lungo il sentiero che scende dal bosco, rientrate a casa e sul tavolo vi aspetta una magnifica bottiglia di vino rosso.
Vi versate un bicchiere e ne esaminate il colore granato e brillante. Non avete fretta, e decidete di prendervi tutto il tempo necessario per assaporare quel liquido rubino frutto di un saper fare che si tramanda attraverso le generazioni. Ricordate vagamente le nozioni apprese in quel corso di degustazione che avete seguito anni prima nella grande città, in un tempo e un luogo che ora paiono lontani anni luce. Lo portate al naso con l’intenzione di cogliere tutte le note olfattive. Vi sembra di percepire note di rosa e viola, e forse anche sensazioni fruttate. Ma anche un sottofondo di mineralità. Del resto, pensate compiacendovi della vostra intuizione, con questo terreno calcareo era da aspettarsi. E finalmente ne assaporate una sorsata generosa. Subito, avvertite il calore alcolico, ma anche un tannino marcato che forse l’affinamento in botte di quercia non ha ancora ben armonizzato. Ed ecco anche le note di sapidità e i sentori balsamici tipici, vi piace immaginare, di questo territorio di dolci colline, ma che sa anche essere aspro e roccioso lassù presso le cime. Pensate come quel semplice bicchiere di vino sia il risultato di infinite variabili: il clima, il suolo, il vitigno, l’età delle piante, l’esposizione, i tempi del lavoro in vigna, la modalità di spremitura, l’affinamento, e tanto altro, e vi rendete conto che il piacere che provate è dato soprattutto da fattori culturali, dal mondo incredibilmente complesso e dalla storia che immaginate concentrata in quella bottiglia.
Bene. Ora esaminiamo che cosa probabilmente c’è dietro la vostra esperienza. Il colore brillante? Ottenuto grazie all’uso di bentonite o gelatine animali. I sentori aromatici? Derivati da lieviti appositamente selezionati dall’industria biochimica, e da enzimi pectolitici e betaglucosidasici che facilitano l’estrazione degli aromi. L’acidità? Opportunamente aumentata con l’aggiunta di acido tartarico, oppure diminuita col bicarbonato di potassio. La rotondità e morbidezza? Opera della gomma arabica. L’affinamento in botte di legno? Sostituito da trucioli e polverine. La stabilità? Garantita da generose dosi di conservanti.
La produzione industriale del vino, che si è affermata negli ultimi decenni, può contare su una cinquantina di additivi chimici autorizzati e su molteplici procedimenti fisici invasivi (per esempio filtri tangenziali o pastorizzazione “flash”) per ottenere virtualmente qualunque risultato a partire da qualsiasi uva ovunque nel mondo. Tutto questo ha importanti conseguenze. Innanzi tutto, il vino così prodotto, o per meglio dire costruito, ha perso qualunque legame con il territorio d’origine e con la tradizione vinicola locale. La possibilità di manipolare il vino ha poi creato nel tempo un prodotto appiattito su pochi gusti dominanti che non scontentano nessuno e che sono riprodotti uguali anno dopo anno, influenzando il gusto del consumatore medio, che non è più in grado di apprezzare sapori più decisi e di carattere. A sua volta, il gusto medio del pubblico influenza l’industria del vino, che deve vendere centinaia di milioni di bottiglie all’anno e non può permettersi soprese. Il risultato finale di questo circolo vizioso è un vino sempre più standardizzato e insignificante. Infine, siamo assolutamente sicuri che questa dovizia di additivi e prodotti chimici, usati sia per la coltivazione della vite che per la manipolazione del vino, sia proprio salutare?
Tornate ora con l’immaginazione a quella sera, con il vostro bicchiere di liquido rubino in mano, e domandatevi: tutto questo ha un senso? Se la vostra risposta è no, allora potete iniziare ad approfondire la vostra scoperta dei vini naturali.
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